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RECENSIONI

IMPROVVISA LA VITA (1987)

AMO LE DONNE E NE HO PAURA
di Gian Carlo Ferretti
(«Panorama», 3 gennaio 1988)

Ottieri scrive un atro capitolo del suo coerente discorso sull’intellettuale borghese, passato via via da
una realtà imposseduta a un’irrealtà che lo possiede, dall’alienazione alla nevrosi: un altro dei suoi
personaggi sottilmente autobiografici, costruito tra ironia nera e fredda poesia, ricchezza problematica e
carica inventiva, moralità e disincanto. Il romanzo ha una scrittura serrata, senza soste, quasi sul filo di
un’ansia segreta.
Alberto, il protagonista, è un intellettuale milanese velleitario, frustrato contraddittorio: “Sono povero e
sono venuto in una Casa per miliardari, sono comunista e odio la violenza, sono un letterato e non
scrivo… Amo le donne e ne ho paura. “Le sue esperienze più tormentose e significative sono appunto
quelle di un lavoro editoriale esercitato sulle opere altrui, di una città cosparsa di brutture e veleni, e di
una pancia che si frappone fra lui e le donne mentre i suoi tratti “ideologici” sono troppo
programmatici e non sempre credibili. Per liberarsi di tutto questo, di tutto insomma che ha sempre
alimentato in lui l’infelicità e la paura della morte, Alberto è venuto nella “Casa”: una specie di tempio
mondano in provincia di Malaga, dove bagni, digiuni, respirazioni, ginnastiche, massaggi, sedute di
agopuntura e di yoga sono come i riti di una pratica religiosa e universale, con sacerdoti e fedeli di tutte
le lingue, con peccati e redenzioni sulla via della purificazione e della magrezza. Ecco allora che a poco
a poco questa Casa, con la sua “psicologia superficiale e ottimistica”, i suoi sofisticati giochi e
giocattoli terapeutici, la sua atmosfera di fatua severità, e in seguito una breve, intensa vacanza nella
vicina e sognata Africa, sembrano dare ad Alberto bellezza e smemoratezza, autorevolezza intellettuale
e felicità, un vero, complicato imprevedibile amore e perfino la spinta a scrivere finalmente il primo
libro. Ma la corsa di Alberto verso il suo nuovo futuro, si interrompe
tragicamente. Come se le paure e le nevrosi del passato si materializzassero di colpo per prendersi la
loro rivincita su quelle virtù artificiose, qualità illusorie, sentimenti precari. La confortevole ed
eccitante irrealtà di una vita eccezionale in sostanza, viene travolta e sconfitta dalla dura realtà, dalla
vera, terribile, vita.


FAVOLA D’AMORE E DI DIGIUNO
di Luigi Vaccari
(«Il Messaggero», 12 novembre 1987)

Pronto Ottieri?
“Come va? ...
Volevo fare due chiacchiere su questo suo romanzo che esce la prossima settimana da
Bompiani….
“Le facciamo subito? ...”
Se crede, anche subito… Il titolo è “Improvvisa la vita”, mi pare….
“Improvvisa la vita, sì.”
Ecco: c’è un protagonista, chi è? Cosa fa?
“Si chiama Alberto, è un vecchio scapolone di 50 anni, redattore di una casa editrice dove legge dei
manoscritti: è schiavo dei libri altrui e non ha nemmeno un alto potere decisionale... Questo Alberto ha
una grande pancia e fa una cura dimagrante in Spagna, a Marbella, che è vicino a Malaga, lungo la
Costa del Sol...”
Ha abbandonato allora l’idea che mi accennava all’inizio dell’anno, di un personaggio che non
riesce a camminare perché il camminare gli dà pensieri di morte?
“Alberto evita la marcia del mattino, alle otto, o in montagna o sulla riva del mare. È sempre in
movimento: fa ginnastica due volte al giorno, fa yoga, nuota in piscina, va in taxi. Sopporta il digiuno
stando in perenne attività. Segue anche un corso di bioenergetica: una tecnica di rilassamento e di
disinibizione. Ma ha la fobia del camminare. Perché il camminare, soprattutto se non c’è una meta
precisa, il cosiddetto girovagare gli dà una sensazione di assurdo e di morte.”
Non fa nulla per capire le ragioni di questa fobia?
“Fa l’agopuntura, ha lunghi dialoghi con l’agopuntore.”
Su alcuni argomenti in particolare?
“Sulla civiltà orientale e occidentale. Queste discussioni fanno compagnia ad Alberto e lo fanno
riflettere su alcuni Paesi, la Cina, Hong Kong, l’India e su alcuni aspetti dell’Oriente che lo attraggono:
la diversità, il mistero e, lui pensa, una maggiore allegria, una gioia di vivere…”
Le riflessioni sulla civiltà orientale aiutano Alberto a camminare?
“No, la fobia del camminare rimane un punto fisso.”
Come si conclude il romanzo? Qual è il suo senso?
“Si conclude con un viaggio in Marocco, che è di fronte a Marbella, con la scoperta dell’Africa e di
una donna, Els, la moglie olandese di un grande finanziere del quale era stata sua segretaria. Per cui,
in un certo senso, è una favola di digiuno e d’amore.”
Quanto c’è della sua esperienza umana in Alberto?
“Improvvisa la vita è in parte autobiografico. Ho fatto le due esperienze, come lei sa. Però la storia
è ispirata a quella di un mio amico, redattore, appunto, di una Casa editrice.”
Lei mi ha confessato, una volta, quanto le sia stato difficile lasciarsi andare con una donna,
quanto l’abbia sempre intimorita una relazione anche solo confidenziale. Anche Alberto….?
Nell’incontro di Alberto con Els ho cercato di vivere quello che non ho vissuto nella vita”.
Scrivere questo libro le ha giovato per il camminare?
“Riesco a camminare felicemente, è stato molto terapeutico.”
È stata una terapia anche per l’a-lessìa in cui è gradualmente scivolato, per cui da anni non
riesce a concentrarsi se non su quello che scrive lei?
“Continuo ad avere grandi difficoltà nella lettura. Però qualcosa leggo, a parte me stesso. Leggo poesia,
per esempio ho letto il libro di Magrelli uscito nella collana Lo Specchio di Mondadori. Riesco anche a
concentrarmi abbastanza sulla TV.”
Ha sconfitto anche l’insonnia?
“Soffro sempre di insonnia. Prendo un sonnifero che mi fa dormire cinque ore. Alla mia età, a 63 anni
credo che siano sufficienti…”
E i vizi del bere e del fumo?
“Fumo sempre moltissimo ma bevo molto poco...”
L’ultima volta che ci siamo incontrati, a Milano, accennava ad un libro di poesie che stava
preparando. La stesura del romanzo l’ha distratta da quella scrittura?
“È già in composizione da Einaudi, uscirà in gennaio con il titolo Vi amo. Sono dieci poesie molto
lunghe e compongono una specie di poemetto unico…Sono racconti in versi: la caratteristica è di
essere narrativi…
Io non sono un vero poeta come Magrelli: scrivo in versi corsivi, cioè facili…”
A chi sono indirizzati?
“Ai figli, alle donne che ho amato.”
Anche se non è stato corrisposto?
“Anche se non sono stato riamato”.
Qual è il senso dei rapporti coi figli che emerge?
“Noi siamo esigenti con loro e loro sono esigentissimi con noi. Aspettiamo gli uni dagli altri il
successo.”
È riuscito a tenere lontano da questi versi narrativi le parole “ansia” e “angoscia” di cui ha
fatto tanto abuso nei libri “Campo di concentrazione” e “Il pensiero perverso”?
“Quasi totalmente. Nella vita non me ne sono liberato. Ma in questi racconti in versi sì.”
Questo può significare che la noia dello star male stia vincendo?
“Spero che stia vincendo…Quando esce questa intervista?”